29 febbraio 2008

La povertà invisibile

Quando periodicamente vengono elaborate statistiche che cercano di fotografare la povertà italiana si prende spesso in considerazione il nucleo familiare complessivamente considerato. Nessuno certo riterrebbe ad esempio indigente un bambino di cinque anni che, anche se ovviamente non percepisce alcunché, viene portato a scuola in BMW. Tuttavia sorgono alcuni dubbi quando quel bambino di anni ne ha trentacinque. Non viene più accompagnato e magari adesso guida la BMW in prima persona. Eppure ha un reddito annuo che non supera i 5000 €.

Il fatto è banalmente che, a parere di chi scrive, si è formata una nuova classe sociale di poveri: sono i cosiddetti giovani di tutte le età.

Il fenomeno è tutt’altro che sconosciuto storicamente: mezzo secolo fa le donne si trovavano in una situazione del tutto analoga: pur godendo formalmente di diritti politici e sociali, erano quasi completamente escluse dalla sfera economica del Paese. Avrebbero anche potuto indossare una bella pelliccia, abitare in lussuose ville, essere, perché no, circondate dall’agio, ciononostante rimanevano cittadini “di serie B”, persone di fatto private della dignità di essere autosufficienti che dovevano faticare immensamente per conquistare posizioni lavorative che agli uomini risultavano altresì facilmente raggiungibili.

I giovani oggi, parimenti, si trovano assai frequentemente nella condizione di essere di fatto dei bisognosi e, lo si conceda, poveri. Sono veri e propri nullatenenti, che non hanno un conto in banca, che non sanno di preciso cosa sia una dichiarazione dei redditi ma che si mimetizzano bene fra chi guadagna.

Possono infatti condurre un dignitoso stile di vita grazie all’ottimo sistema assistenziale (di natura parentale) di cui godono: ricevono alimenti, vestiario e denaro periodicamente e senza ritardi.

Con tutte le scontate conseguenze che ne derivano, dall’impossibilità di costituire un proprio nucleo familiare a quella di non poter programmare un qualsiasi investimento a lungo termine.

Il problema non finisce qui: se ci trovassimo di fronte a persone prive di abilità, voglia di lavorare, istruzione e via dicendo il fenomeno sarebbe anche comprensibile. Se inoltre fossero del tutto esclusi dal processo lavorativo e produttivo (disoccupati insomma) bisognerebbe certo affrontare il problema, che però avrebbe connotati quanto meno gestibili. Tuttavia la realtà è molto più sconfortante e paradossale: la maggior parte dei giovani che purtroppo appartengono a questo poco invidiabile status sono individui estremamente capaci e competitivi, preparati e volenterosi ma soprattutto occupati!

Infatti di norma costoro, almeno nella nostra regione, lavorano a tempo pieno, anche 10 ore al giorno, e guadagnano… quasi nulla.
Si pensi all’esercito degli stagisti, gli “schiavi moderni” come li ha definiti Beppe Grillo, che lavorano a tempo pieno senza imparare alcunché di utile (scopo primario del tirocinio) e che se fortunati ottengono un rimborso spese elargito dalla regione o dalla UE, altrimenti costretti a spendere per lavorare. “Spendere per lavorare”, suona talmente assurdo che suscita in chiunque la spontanea esclamazione: “a quel punto meglio disoccupati!”

Si pensi ai ricercatori, scienziati in erba costretti a migrare pur di poter sopravvivere e risorsa sprecata considerando tra l’altro l’enorme investimento che l’Italia pone in essere per formarli.

Per non parlare poi di coloro che svolgono la pratica professionale presso notai, avvocati, commercialisti, geometri e quant’altro in una sorta di volontariato coatto in favore di “indigenti” privilegiati, che hanno tutto l’interesse a limitare l’accesso delle nuove leve alle menzionate caste. Caste che sono quasi inattaccabili, protette dall’egida dei vari Ordini professionali, sempre vigili quando si tratta di tutelare i propri interessi corporativistici, forse più distratti quando si tratta di vigilare sull’operato dei propri iscritti nei confronti del cittadino-utente-cliente.

Questo solo per citare gli esempi più eclatanti di un elenco che altrimenti potrebbe proseguire lungamente, rischiando di tediare il lettore.
Meritano tuttavia particolare attenzione gli strumenti mediante i quali vengono poste in essere le varie forme di sfruttamento legalizzato.
Lavoro interinale, collaborazione coordinata, tempo determinato, contratto a progetto, stage, sono ormai concetti tanto diffusi da essere considerati la normalità, almeno statistica.
Non si vuole negare che questo tipo di contratti di lavoro possano avere una loro ragione di esistere, tuttavia vengono ormai utilizzati per tipologie occupazionali completamente inadatte, col solo risultato di trasformarsi in un vero e proprio giogo per il lavoratore. L’uso è ormai da tempo sconfinato nell’abuso.
E la situazione diviene ancor più triste ed assurda allorché il giovane si senta quasi fortunato per essere stato assunto con uno di questi contratti, mentre il ”capo” di turno è convinto che in fin dei conti gli sta facendo un favore.
Un concetto questo che può essere riassunto dalla massima di saggezza friulana “ančhemò dî graciis”.

A parere di chi scrive sfruttare l’impegno e la fatica di persone oneste debba considerarsi un reato. Fare lavorare gratis o in cambio di pochi euro, non rispettare orari di lavoro, ferie, malattia, dovrebbero essere puniti e non tollerati o addirittura incoraggiati.. Infatti in Italia, come del resto in altri Paesi europei, l’impianto fiscale sembra quasi favorire le sopraccitate fattispecie contrattuali, piuttosto che disincentivarle e di fatto non esiste attualmente alcuna ragionevole convenienza per il datore di lavoro ad abbandonarle.

Si consideri infine come questa nuova forma di povertà, questa piaga che affligge parte della popolazione non vaccinata al morbo della gerontocrazia abbia conseguenze non solo morali o circoscritte al giovane, ma anche del tutto empiriche e di vasta scala. Un paio di esempi su tutti.

Come noto la circolazione del denaro e delle merci è un fenomeno essenziale per lo spostamento e l’aumento della ricchezza. Impedire alla classe sociale che maggiormente potrebbe contribuire a questo processo di avere i mezzi per acquistare l’automobile, la casa, la cucina, il televisore e così via significa di riflesso colpire tutta l’industria e l’artigianato che produce quei beni. In buona sostanza si verifica un duplice nocumento, nei confronti del lavoratore a monte e nei confronti dello stesso imprenditore a valle, il che è palesemente controproducente.

In secondo luogo pare lecito ritenere che se la attuale generazione di “figli” possa essere in qualche modo tutelata dalla copertura economica dei propri parenti, nulla garantisce che in futuro i primi, ormai “genitori”, siano in grado di fornire un simile supporto.

E pensare che la nostra Costituzione è stata così chiara nell’attribuire al lavoro un’importanza fondamentale nella realizzazione personale dell’individuo e nello sviluppo della società stessa.
L’Art. 1 parla di “repubblica democratica fondata sul lavoro” e non di oligarchia gerontocratica fondata sullo sfruttamento del lavoro
L’Art. 36 recita: “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa.” Forse questa norma andrebbe ribaltata in “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione tale che la sua famiglia assicuri a sé un’esistenza libera e dignitosa”

Oggi i tempi sono cambiati eppure la Carta costituzionale, fino a prova contraria, è ancora in vigore; i casi pertanto sono due: o si dà vita ad una riforma del lavoro seria e umana, o si cambia la Costituzione stessa.

Alessandro Spizzo
Coordinamento Provinciale Giovani Democratici

23 febbraio 2008

Università: le nostre idee

PREMESSA

L’Università degli Studi di Udine nel 2008 compie 30 anni. Ed è da 30 anni che il Friuli ha il privilegio di ospitare il tempio della conoscenza sul proprio territorio. Questo privilegio però non va sprecato proprio ora che l’Università di Udine sta tagliando importanti traguardi sia a livello nazionale che internazionale. Da molto tempo l’Ateneo Udinese è sotto finanziato rispetto alle reali necessità, un problema derivante dalla scarsa attenzione che il legislatore nazionale ha sempre avuto nei riguardi della scuola, dell’università e della ricerca, privilegiando spesso scelte più popolari che strutturali. Questa mancanza a livello nazionale però non deve essere una scusa per il declino, ma deve essere invece il segnale d’allarme per fare in modo che i livelli più vicini al territorio si attivino. È necessario che a fronte di una mancanza di fondi a livello nazionale, ci sia un maggior impegno a livello regionale, provinciale e comunale perché l’Università di Udine è un patrimonio molto grande per la nostra Regione che non va disperso o messo da parte. La cultura deve venire prima di molte cose, perché solo la cultura genera poi una buona amministrazione.

FUNZIONE SOCIALE DELL’UNIVERSITA'

Da studente universitario mi sono chiesto quale sia la funzione dell’Università di oggi all’interno della società, ma non ho trovato una risposta univoca come dovrebbe essere. L’Università ha perso negli ultimi anni molto del prestigio che aveva. Un tempo andare all’Università era un privilegio di pochi, oggi sembra un obbligo per tutti. Onestamente credo servirebbe trovare una via di mezzo. È importante che tutti abbiano la possibilità di frequentare l’Università, poiché la studio è un diritto indiscutibile. È altrettanto importante però che non si “volgarizzi” l’Università per permettere a tutti di entrarvi, l’Università deve puntare alla qualità dell’insegnamento non all’obbiettivo di far ottenere al maggior numero di studenti la laurea nel minor tempo possibile. Lo stesso criterio che misura la quantità di fondi da destinare ad ogni Facoltà in base agli studenti laureati entro il termine “normale” del ciclo di studio può rivelarsi così uno strumento inefficacie, perché rischia di diventare un pretesto per le strutture universitarie a rendere semplicemente più veloce e facile il percorso di studi senza preoccuparsi della qualità. Oggi purtroppo la maggior parte dei corsi sembra focalizzare la propria attenzione sul superamento rapido ed indolore degli esami, sacrificando la didattica.

L’Università dovrebbe avere la funzione di raccordare il mondo della studio a quello del lavoro, preparando i ragazzi ad affrontare nuove sfide e nuovi obbiettivi, rendendo concreto tutto ciò che di teorico è stato loro insegnato per anni. Invece questo non succede, l’Università rimane molto astratta e assolutamente indipendente dal mondo del lavoro, tranne rare eccezioni di alcune Facoltà, come ad esempio medicina e chirurgia. In questo senso, proprio quest’anno, è stato firmato un protocollo d’intesa tra l’Università e il Ministero del Lavoro per aderire al progetto FixO, volto a promuovere l’occupabilità e l’occupazione dei giovani laureati sviluppando e dando continuità di ruolo alle università nel sistema delle politiche attive e, nel contempo, consolidando un sistema di servizi utili alle imprese, ai laureati e alle stesse Università.

Per migliorare l’attuale sistema è indispensabile una profonda riforma che parta dall’orientamento. Molti studenti si trovano in corsi di laurea che dopo il primo anno abbandonano oppure frequentano i corsi di massa dove di solito finiscono gli indecisi (come ad esempio Economia o Giurisprudenza). L’orientamento ha un ruolo davvero fondamentale nella costruzione di una nuova Università più “utile” alla società.
Un altro punto su cui intervenire sono, come detto sopra, i programmi, troppo legati a modelli ormai vecchi e svincolati alle reali esigenze del mondo del lavoro ed a volte della cultura. In questo campo i professori, che sono i principali responsabili, devono trovare il coraggio di innovare e rinnovare annualmente i propri programmi, i libri di testo e l’approccio con gli studenti. In quest’ottica si deve cogliere la recente riforma delle lauree triennali e magistrali, evitando che l’unico cambiamento sia formale nella durata, spezzata o continua, e non sostanziale sui corsi e sui programmi.

Infine l’Università supportata dagli enti territoriali deve aumentare i rapporti con il mondo del lavoro attraverso convenzioni durature in modo da organizzare tirocini e stage che favoriscano il dialogo con le imprese e gli studenti ed offrire agli stessi rappresentanti del mondo del lavoro la possibilità di tenere alcune lezioni all’interno dell’Università.

Moltissimi di questi cambiamenti richiedono l’impiego di maggiori risorse finanziarie e per questo saranno cambiamenti che con ogni probabilità avverranno più lentamente, ma altri non richiedono nessuna risorsa economica, necessitano solo della volontà personale degli studenti, dei professori e degli amministratori universitari e locali; non si propone una ricetta troppo costosa, ma solo impegnativa.

DIRITTO ALLO STUDIO

Un altro importante tema da trattare è quello del diritto allo studio che ho già citato nella parte precedente. Tutti hanno il diritto di frequentare l’università, di avere per lo meno la possibilità di misurarsi con questa nuova dimensione di studio. Purtroppo, come tutti sanno, gli studi universitari sono costosi, per la presenza delle tasse universitarie, per i costi elevati dei libri di testo e spesso anche per i costi che le famiglie sono costrette a sostenere per mantenere i propri figli fuori sede. La scelta della facoltà più vicina non è sempre l’unica via per il “risparmio”, infatti non si vede perché ragazzi con notevoli capacità culturali e preparazione debbano per forza limitarsi all’università sotto casa perché le università didatticamente migliori sono troppo lontane e quindi troppo costose per le famiglie. Le istituzioni nazionali e locali dovrebbero trovare valide soluzioni per questi problemi. Bisogna trovare soluzioni per quanto riguarda i criteri richiesti per il conseguimento della borsa di studio, ad oggi 3 studenti su 10 idonei al conseguimento della borsa di studio non la ricevono per mancanza di fondi. È necessario stimolare le iniziative dei privati in questa direzione e creare nuove vie per dare agli studenti bisognosi e meritevoli ciò che gli spetta di diritto come prevede la nostra Costituzione all’articolo 34. Inoltre un’idea che si può copiare dal sistema americano è quello dei prestiti d’onore, cioè prevedere un accordo tra Fondazioni Bancarie ed Università in modo che agli studenti siano concessi in prestito i soldi necessari agli studi e poi restituiti progressivamente nel momento dell’ingresso nel mondo del lavoro.

Un altro annoso problema degli studenti universitari, in particolare di quelli “fuori sede” è l’alloggio, l’Italia è uno dei paesi in Europa che offre il minor numero di posti letto e ciò da linfa al mercato illegale degli affitti, anche qui la creazione di poli universitari sempre più grandi dovrebbero essere la regola contrariamente a quanto avviene invece nella realtà e cioè la frammentazione territoriale e numerica dei corsi di laurea. L’Università di Udine sotto questo aspetto sembra aver capito la rilevanza del problema ed oltre ad aver istituito presso l’Erdisu un servizio per la gestione degli affitti per gli studenti, si appresta anche a costruire presso la sede dei Rizzi una nuova casa dello studente, valorizzando così quell’area di Udine che sembra un po’ abbandonata a se stessa non appena chiude l’Università.

Andrea Simone Lerussi
Rappresentante degli Studenti in Senato Accademico
Università degli Studi di Udine

18 febbraio 2008

Giovani Democratici, ci siamo!

L’interesse per la politica in quest’ultimo decennio ha dimostrato estrema staticità, è quindi necessario trovare delle soluzioni veloci ed efficaci per cercare di apportare una reale inversione di tendenza.
Credo che il Partito Democratico sia stato il primo ad iniziare questo processo. Dal 14 Ottobre scorso si è voluta intraprendere la strada dell’innovazione politica, del ricambio e di apertura verso la società.
Proprio per questo si è voluto creare immediatamente una componente giovanile, composta non solo dalla fusione delle due aggregazioni dei vecchi Partiti, la Sinistra Giovanile e i Giovani della Margherita, ma includere in questo processo tutti quei ragazzi che vogliono una nuova e giusta politica, fatta di soluzioni, di concretezze e di una visione del futuro, per noi giovani al quanto incerta.
Sono nati pertanto i Giovani Democratici, la casa di tutte quei giovani che non condividono vecchi retaggi e metodologie politiche, che si battono per l’equità e l’opportunità per tutti di scendere in campo ed esprimere i propri pensieri.
La strada è ancora lunga, serve l’apporto di tutti, soprattutto in questa fase, per realizzare quegli obiettivi e per far rinascere quel fervore politico che tanto ci manca.
Un primo argomento di condivisione è senz’altro il ricambio generazionale: è necessario inserire negli organi istituzionali dei giovani, in modo da garantire quella freschezza e spirito di novità che manca a questo Paese. Non nascerebbe la voglia per tutto questo se non ci fosse la necessità di costruire “un’Italia nuova” che si preoccupa e lavora per costruire un futuro solido alle nuove generazioni.Pertanto credo che sia necessario ed indispensabile, in primis, garantire,nelle scelte dei candidati ai prossimi appuntamenti elettorali, la presenza di giovani, dando loro la possibilità di scendere in campo attivamente e di poter lavorare appieno per il miglioramento.
Confrontandomi con gli altri aderenti, ho confermato che è nostra convinta intenzione sostenere ai vari livelli istituzionali la presenza di giovani, mantenendo il principio di “massimo due mandati”, negli organi istituzionali del nostro territorio. Garantendo così il reale ricambio!
Se ci pensiamo bene, proprio i giovani sono stati i più penalizzati, in special modo di genere maschile questa volta, alle scorse primarie. Oltre a non condividere il principio delle liste bloccate, ma appoggiando pienamente l’espressione delle preferenze in sede di voto, credo che con la questione “quote femminili” al cinquanta per cento, i due partiti si siano trovati in estrema difficoltà nel garantire un certezza di continuità alle vecchia classe dirigente. La mossa più facile: penalizzare i giovani.
Personalmente non appoggio il concetto delle “quote” in generale, né femminili e né giovanili. Sostengo invece un discorso di pari opportunità, ovvero offrire la garanzia di partire dallo stesso livello, ed offrire a tutti la possibilità di emergere, facendo prevalere il principio meritocratico.
I giovani democratici friulani, sono convinto, non si faranno influenzare da pressioni “correntizie”, in quanto cosa che non deve appartenere al loro quadro genetico. Devono essere invece espressione di pura e genuina novità. Non precludendosi nessun vincolo di scelta, ma orientando quest’ultime al bene dei giovani.

Alessandro Venanzi
Coordinatore Giovani Democratici
Provincia di Udine

Si parte!

Nel corso di questi mesi di speranze e turbolenze un gruppo di giovani della Provincia di Udine, appassionati di politica, ha deciso che un avvenimento come la nascita del Partito Democratico non poteva passare inosservato: nasce così l'impegno nella costruzione di un luogo dove riunire i giovani che credono in questo progetto politico. L'attività di questi mesi ha portato alla stesura di quello che vuol essere un documento che, andando a toccare alcuni temi concreti (territoriali ma anche nazionali, un "ma anche" dovevo metterlo :-) ), fornisca una base per avviare una discussione vera sui programmi delle prossime elezioni anche nel mondo giovanile. Oggi partiamo con un introduzione di Alessandro Venanzi a cui nei prossimi giorni seguiranno diversi altri interventi! Buona lettura e sopratutto buon dibattito!