20 marzo 2008

Donne e politica

Il tema della partecipazione delle donne in politica è ormai diventato un leitmotiv nel dibattito italiano dell’ultimo decennio, soprattutto perché la politica è fino ad oggi rimasta una pratica quasi esclusivamente maschile.
L’art. 51 Cost. è stato modificato nel 2003, con l’aggiunta di un paragrafo in cui si afferma che “la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra uomo e donna” anche in campo politico, sembrando così garantire una base formale per l’introduzione di norme che assicurassero una maggior presenza femminile nelle istituzioni.
In realtà, i dati statistici non sono per nulla confortanti, se si pensa che nella legislatura appena terminata tra Camera e Senato le donne rappresentavano il 15,4% degli eletti. In Europa siamo il fanalino di coda, migliori solo rispetto alla Grecia, mentre uno studio svolto per le Nazioni Unite ci ha collocati all’ottantanovesimo posto a livello mondiale.
Tutto ciò, nel XXI secolo, è una forma di discriminazione, soprattutto se si considera che a parità di condizioni, di intelligenza ed esperienza, i partiti molto spesso scelgono di candidare un uomo e non una donna. A questo punto bisogna chiedersi perché ciò avviene.
Ci possono essere due ordini di motivi, uno materiale ed uno culturale.
Innanzi tutto, è evidente che ancora oggi la difficoltà principale per una donna è riuscire a conciliare vita familiare e vita “professionale”. E questo vale sia per le donne che vogliono entrare in politica sia per quelle che scelgono di trovare una valorizzazione a livello lavorativo. Solo per fare un esempio, la cura della casa, dei figli, degli anziani si pensa debba ricadere, e per la maggior parte effettivamente ricade, sempre e solo in capo alle donne, togliendo loro tempo per dedicarsi ad altro. Ed una donna senza tempo non può essere competitiva, sia sul lavoro sia in politica. Una effettiva rappresentanza politica paritaria passa anche da una effettiva parità nel mondo del lavoro, parità che è ben lungi dall’essere realizzata e che dovrebbe essere incentivata tramite misure concrete che promuovano la partecipazione delle donne alla vita sociale e politica, garantendo una diversa distribuzione dei tempi di lavoro e familiari, con un’incentivazione, ad esempio, dei congedi di paternità, oggi sempre meno richiesti, oppure mediante la costituzione di asili nido nei luoghi di lavoro.
Secondo me, poi, c’è anche un fattore culturale da considerare, ed è strettamente intrecciato a quanto appena detto: dobbiamo arrivare a considerare normale che la sera sia la ragazza ad uscire per andare ad una riunione e non solo il ragazzo, dobbiamo arrivare a non accettare che ad un colloquio di lavoro ci venga chiesto “lei non avrà mica intenzione di restare incinta, vero?”..
Quello che voglio dire, in definitiva, è che spessissimo si attribuisce la scarsa presenza di donne ai livelli più alti della politico e dell’impresa ai loro impegni familiari, alla necessità che si occupino di casa e figli, ma molto raramente questa richiesta è accompagnata dall’affermazione che è diritto delle donne e dovere degli uomini dividere al 50% le cure familiari. E proprio questo intendo dire quando mi riferisco a cambiamento culturale, un cambiamento che permetta alle donne di prendere parte in condizioni di pari opportunità alla realtà politica, culturale e sociale del paese. Si tratta non di rivendicare diritti negati, come negli anni ’70, ma di sensibilizzare l’opinione pubblica a modificare una cultura politica che ancora oggi vede l’uomo come il legittimo protagonista della gestione dello Stato.
Detto questo, il punto di partenza è essere assolutamente convinti che la presenza delle donne è utile, è un valore, in quanto il nostro contributo porta ad un pluralismo di idee, esprime un diverso punto di vista per risolvere determinate problematiche.
Tutto ciò, secondo me, non si realizza nelle cd. quote rosa di cui tanto si parla da anni ormai; infatti, a me viene il dubbio che il 50% metta d’accordo le coscienze, a destra e a sinistra, che lasci intendere che non ci sono conflitti giuridici, economici e sociali tra donne ed uomini. La vera questione è che le quote prevedono, certo, l’inserimento delle donne nelle liste dei partiti, ma se non c’è poi l’appoggio dei colleghi maschi, allora si rimane in lista, tutti sono soddisfatti, ma le donne non vengono elette. Serve, quindi, che anche i partiti ci incentivino, ci sostengano e trasformino quello che sembra un mero adeguamento di genere in una visione diversa della politica e della società.
Io sono convinta che sia più importante la meritocrazia rispetto alla “corsia preferenziale” delle quote rosa, che sia importante dimostrare di valere e di non essere arrivate fin lì solo per una norma di legge.
Certo, la strada è lunga e difficile, e quindi è giusto prendere in considerazione un periodo transitorio di applicazione di tale normativa, normativa che obblighi da un alto il mondo delle decisioni e del potere a far sì che un certo numero di donne partecipino e dall’altro che obblighi le donne a “buttarsi”.
Per questi motivi sono contenta che il Pd sia nato con le quote rosa, giusto modo per iniziare in modo paritario questa avventura. Mi auguro che però sia una fase breve e transitoria, dominata soprattutto dalla reale volontà di promuovere innovazione e partecipazione e non di riproporre antiche consuetudini.
Per questo è importante il momento di formazione delle liste: in questo momento l’alternanza (donna uomo, uomo donna) è il metodo più sicuro per il raggiungimento di un traguardo atteso per cui tutte le forze politiche dovrebbero impegnarsi. Per quanto riguarda il Pd, dobbiamo, come donne, esercitare il massimo impegno. D’altra parte, Walter Veltroni è stato il primo sindaco di una grande città a volere una Giunta segnata da una straordinaria presenza femminile. E la Costituente, le commissioni, le direzioni del nuovo partito sono frutto di una scelta che ha investito molto sul principio della parità. La sfida della costituzione delle liste elettorali è più difficile, ma dobbiamo lavorare per quel riequilibrio della rappresentanza a cui mi riferivo e per un’apertura vera a talenti e esperienze di donne e, soprattutto, di giovani donne.
Un ultimo aspetto a cui in questo momento è importante fare un breve riferimento riguarda la tanto nominata, in quest’ultimo periodo, legge 194/78. Questo è un argomento che riguarda da vicino le donne, ed in cui la politica, o almeno certa parte dell’attuale panorama politico e non solo, sembra intenzionato ad entrare.
Ciò che è impressionante in questa offensiva è che in tutti quei raduni, in tutti gli appelli che vengono fatti i protagonisti assoluti sono gli uomini. A parte qualche sporadica eccezione, è infatti soprattutto maschile la folla che vuole decidere su qualcosa che riguarda solo il corpo della donna, il suo cuore, il suo futuro, il suo legame col figlio. Ma nonostante ciò, in tutto questo sterile vociare manca una voce, non quella dei politici o dei teologi o dei medici, manca quella degli eventuali padri. Le donne alla fine, sono sempre sole, ogni responsabilità di vita è troppo spesso lasciata solo a noi. Non basta, quindi, offrire denaro una tantum, (come se avere o non avere un figlio fosse solo una questione di soldi!), ma è necessario investire in una politica di solidarietà e rispetto delle scelte, di tutte le scelte.
La legge 194 è stata mantenuta nel nostro ordinamento con il voto di due terzi del paese: oggi viene rispolverata per ragioni esclusivamente politiche e per niente etiche. È importante che su questo argomento il Pd non lasci sole le donne, ma che assuma una posizione chiara a difesa di una legge di cui qualsiasi donna credente e meno può non servirsi, senza impedire però alle altre di farlo.
In conclusione, ciò che il Pd deve fare, in materia di parità di genere, è far sì non che donne ed uomini siano uguali ma che abbiano le medesime possibilità, in tutti i campi.

Elisa De Sabbata
Assemblea Costituente Regionale PD

10 marzo 2008

Veltroni a Udine!

Ore 17.00
Teatro nuovo Giovanni da Udine
Walter Veltroni incontra gli elettori
Noi ci saremo!

07 marzo 2008

Ambiente e stili di vita

Il tema principale che ha caratterizzato il passaggio dal ventesimo al ventunesimo secolo e che continua a caratterizzare i nostri giorni è senza dubbio la questione ambientale. Se non bastassero gli allarmi continuamente lanciati da numerosi scienziati, ci pensano fatti clamorosi sia in positivo, come il Nobel per la pace ad Al Gore, che in negativo come la tragedia delle immondizie napoletane a ricordarci che è arrivato il momento di ripensare il nostro atteggiamento verso il pianeta. Spesso e volentieri secondo me si ha però un approccio sbagliato al problema, un approccio puramente allarmistico che circoscrive le discussioni sull’ambiente a poche urla isolate che impediscono una discussione serena e foriera di soluzioni convincenti e praticabili.

Il punto centrale da approfondire è come tutelare l’ambiente in una maniera che non solo sia vantaggiosa per la popolazione a lungo termine ma che proponga immediatamente vantaggi tali da rendere appetibile una svolta radicale nella cultura ambientale dei cittadini. Non può infatti esistere una politica ambientale efficace ed efficiente se questa non riesce ad avvalersi della collaborazione dei cittadini.

La partecipazione e l’educazione all’ambiente sono momenti imprescindibili affinché a partire dalle nuove generazioni si sviluppi quel rispetto per i beni ambientali che può e deve essere il motore per realizzare uno sfruttamento economico degli stessi che sia compatibile e lungimirante. Tale politica può però portare solo frutti a medio/lungo termine e, sebbene necessaria, non può considerarsi di per sé sufficiente. Occorrono interventi che producano da subito effetti concreti nella vita delle persone: occorre sviluppare una politica basata su premi ed incentivi che stimolino la partecipazione della cittadinanza a quella che va percepita come una missione comune nei confronti nostri e delle generazioni future: la salvaguardia del nostro territorio.

L’ente Provincia in questo ambito è dotato di competenze ampie ed impegnative che in questi ultimi anni ha però dimostrato di non saper gestire adeguatamente trascinando e trascurando problematiche che avrebbero dovuto essere al centro di una saggia politica proiettata nel futuro. La situazione attuale è sicuramente una situazione di crisi, una situazione che ci pone sull’orlo di un precipizio dalla quale però siamo certi che il nostro territorio saprà uscire. Per conseguire questo obiettivo fondamentale sarà valorizzare quei picchi di eccellenza che pure sono presenti e che proprio una mancata pianificazione strutturale ha impedito di sviluppare in maniera adeguata e di rendere competenza diffusa.

L’esperienza del consorzio A&T 2000 nel settore della raccolta rifiuti è sicuramente uno di questi esempi. La stella polare che deve guidare l’attività politica in questo settore non può che essere solo una:la raccolta differenziata. Il modello citato, che già da qualche anno opera in numerose realtà comunali del territorio provinciale, dimostra come attraverso l’impostazione di una politica che renda responsabile il cittadino delle sue azioni, premiando i comportamenti virtuosi, si possano raggiungere risultati straordinari. Non si possono definire altrimenti le percentuali elevate di raccolta differenziata raggiunta in comuni come Premariacco (oltre l’80%), Codroipo, Campoformido: valori che sono già ben oltre quelli richiesti dalle normative europee del settore per il 2011 e che pongono questi comuni all’avanguardia. A fronte di un modesto impegno organizzativo che viene richiesto ai cittadini nella selezione dei rifiuti i vantaggi che ne derivano per gli stessi sono molteplici e immediatamente percepibili:
- minor produzione di rifiuti da conferire in discarica
- eliminazione dalle strade dei cassonetti e conseguente maggior decoro delle vie
- applicazione di una tariffa strettamente legata alla quantità di rifiuti prodotti con risparmi per i cittadini virtuosi
Il modello partecipativo sviluppato attraverso incentivi e premialità ha quindi già dato buona prova di sé. Applicarlo a tutto il territorio provinciale attraverso la creazione di un gestore unico che si occupi di realizzare questo modello di raccolta è un obiettivo che nel giro di pochi anni sarebbe in grado di razionalizzare il sistema e far rientrare l’emergenza.

La creazione di un sistema virtuoso di riciclaggio di questo tipo può aprire anche prospettive d’impresa da non sottovalutare: la gestione tecnologicamente avanzata di questo ciclo se adeguatamente ottimizzata può rivelarsi un business appetibile per le aziende del settore che insediandosi nel nostro territorio creerebbero interessanti ricadute occupazionali.

Ma il ciclo dei rifiuti non è certo l’unico problema ambientale del nostro territorio. Le recenti vicende economiche ci hanno dimostrato in maniera inequivocabile come la nostra economia abbia negli anni mostrato un interesse smodato al profitto immediato tralasciando la visione del futuro e delle sue problematiche. La dipendenza dal petrolio per la produzione di energia si è rivelata in tutta la sua imponenza proprio nel corso degli ultimi anni. In questo settore scontiamo ritardi preoccupanti nello sviluppo di risorse energetiche alternative ai carbon-fossili.
Fortunatamente la politica regionale, e quella nazionale con l’ultima Finanziaria, hanno prodotto su questo versante qualche segnale di novità che va colto e sviluppato in maniera convinta. La tecnologia fotovoltaica ha rappresentato in questi anni la nuova frontiera delle energie rinnovabili iniziando ad avere uno sviluppo sul territorio sporadico ma incoraggiante. L’ente pubblico deve in questo caso svolgere una funzione di volano per il definitivo affermarsi di questa opportunità di creazione di energia pulita. La Provincia è proprietaria di numerosi immobili che possono fungere da esempio di produzione energetica a basso impatto ambientale. Rendere gli edifici pubblici dei produttori di energia pulita sarebbe il miglior spot pensabile per sensibilizzare la popolazione ad adottare metodologie di approvvigionamento energetico alternative.

Mi sembra infine appropriato affrontare anche un terzo tema critico della questione ambientale: i trasporti. Anche qui i meccanismi di incentivazione sono una risorsa efficace per lo sviluppo di una sensibilità dei cittadini che vada nella direzione opposta a quella attuale dove si afferma una preoccupante riduzione del numero di passeggeri che ogni autovettura trasporta. Razionalizzare il trasporto su gomma ha sicuramente molteplici aspetti positivi andando a ripercuotersi sia sulla questione ambientale che su altri aspetti quale la sicurezza stradale. Demonizzare l’uso dell’automobile è però controproducente. Sarebbe molto più utile invece promuoverne un uso più consapevole e comunitario. Il potenziamento dei mezzi pubblici (doverosamente attuabile all’interno dei grandi centri urbani) è difficilmente proponibile nelle zone periferiche della provincia dove si riscontra il problema opposto della frequente carenza di passeggeri specie nelle zone più spopolate. Ecco dunque che sarebbe assai più produttivo incentivare l’uso comune dell’automobile favorendo il crearsi di micro gruppi di utenti che quotidianamente condividano il mezzo di trasporto che li porta sul luogo di lavoro o di studio. Convincere due studenti che abitano nello stesso paese o due operai che abitano in due paesi vicini ad usare lo stesso veicolo per raggiungere le loro destinazioni quotidiane porterebbe ad una diminuzione netta del traffico veicolare, limitando conseguentemente i danni ambientali che da ciò derivano. Questo modello di trasporto può anche essere visto come una delle soluzioni ad uno dei più noti problemi giovanili: le stragi del sabato sera una delle prime cause di morte per le giovani generazioni. Incentivare il trasporto di gruppo mediante convenzioni con i locali da ballo che premino l’autista che si accolla la responsabilità di riportare a destinazione 2 o più amici (tramite ingressi omaggio o altre agevolazioni) sarebbe una strada coraggiosa ed innovativa per evitare che la repressione e i controlli siano l’unica via per contrastare questa piaga sociale.

Un trasporto consapevole dunque non è solo un mezzo per evitare danni ambientali ma anche l’opportunità di tutelare la vita umana e quello che è il maggior capitale che la società possiede: i giovani.

Risulta quindi evidente, da questa sintetica analisi, come non esista una soluzione univoca alla questione ambientale ma come l’unica metodologia adeguata sia quella che inserisce diversi interventi nell’ambito di un piano organico che l’organo politico ha il compito di progettare e poi concretamente realizzare con strumenti quali gli incentivi e gli sgravi fiscali che se andranno a pesare nell’immediato sul bilancio pubblico, a distanza di breve tempo potranno produrre risorse non solo ambientali ma anche economiche tali da giustificare ampiamente l’investimento.

Luca Braidotti
Coordinamento Provinciale Giovani Democratici